25 anni senza Ayrton Senna. Il mondo automobilistico e non solo si è stretto attorno al ricordo del pilota brasiliano, scomparso all’età di 34 anni durante il Gran Premio di Imola. Era il 1 maggio 1994: Senna correva con la Williams, Berger con la Ferrari. Tra di loro però non c’era astio, solo amicizia e grande rispetto. Erano stati insieme alla Mc Laren tra il 1990 e il 1992 ed avevano imparato a volersi bene. Come colleghi e come amici.
“L’ultima cosa che mi viene in mente è la griglia di partenza. Penso che fosse in prima fila o forse in pole con la Williams e io ero immediatamente alle sue spalle con la Ferrari. Ricordo che io ero ancora fuori dall’abitacolo, mentre lui era in macchina e sorrideva sotto il casco. Questo è stato l’ultimo contatto visivo che ho avuto con lui. Ero contento quando le cose andavo bene per lui e accadeva la stessa cosa a parti invertite“.
Un legame che andava oltre ogni disputa automobilistica e che si era consolidato a suon di accelerazioni sui rettilinei. Chi lo ha conosciuto afferma che la grandezza d’animo di Senna fosse addirittura superiore a quella del suo talento. Un ragazzo buono, semplice ed umile che aveva trovato la sua dimensione e la sua ragione di vita in quel susseguirsi di curve a tutta velocità .
Senna, il pilota più grande di sempre
Parlare di Senna è come scoperchiare il vaso di Pandora. La sua morte, 25 anni fa, è stata uno dei drammi sportivi più angoscianti di sempre. Lo schianto alla curva del Tamburello ha sancito la fine di un’epoca. Dopo la morte di Ayrton (che seguiva quella di Ratzenberger il giorno prima) emerse in maniera preponderante il problema della sicurezza nei circuiti. La federazione non poté fare altro che prendere in mano la situazione e affrontare tutte le piste, curva per curva.
Chi ha conosciuto Ayrton Senna, non lo ha dimenticato. Collega e amico del pilota brasiliano, Thierry Boutsen ne conserva un ricordo vivo:“Ho il suo casco sulla mia scrivania. Lo vedo tutti i giorni e penso a lui ogni giorno. Era mio amico e padrino di mio figlio. Faceva parte della famiglia. La sua morte mi ha causato molto dolore”.
In occasione di questa ricorrenza particolare è tornata a parlare anche la madre di Ayrton, Dona Neyde, dopo 15 anni di silenzio. “Tutto quello che ha fatto, lo ha ottenuto con merito, con la voglia di fare, con la voglia di provarci. Ha combattuto duramente. Non c’era modo di fermarlo. Ayrton aveva bisogno di qualcosa in più. Voleva emozione. Voleva movimento, voleva sentire qualcosa. La vera sfida era con se stesso. Non con gli altri”.Â
Un uomo talentuoso con una missione ben precisa: illuminare il mondo dell’automobilismo e vincere. E lo sa bene Damon Hill, leggenda della Formula 1 e compagno di Senna in quel maledetto 1994: “Ayrton ammetteva solo la vittoria a tutti i costi. Era la sua risposta a ciò che era successo a Roland, alla delusione dell’inizio di stagione, alle domande che molti si facevano sulla regolarità della Benetton. La sua reazione a tutto: ‘Io vinco questa corsa’. In fondo era l’unica risposta che aveva anche ognuno di noi. Guidare al massimo, mettere la rabbia e l’energia nel pilotare”.