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Niki Lauda: 40 anni fa il terribile incidente al Nürburgring

Fu l’ultima volta che in F1 si mise piede al Nordschliefe del Nürburgring: per dare l’addio a quella pista tanto eroica quanto fatale il Circus dovette quasi sacrificare uno dei piloti più talentuosi di sempre. Era il 1° agosto 1977, Gran Premio di Germania: 40 anni fa spaccati. Il mondiale è ancora in lizza ed un circuito di 23 km il cui crono sul giro vaga sull’ordine dei 7 minuti si rivelerà l’ago della bilancia di quella lotta iridata. A descrivere il fattaccio sembra quasi di parlare di immagini banali, ricordi comuni che tutti gli appassionati di Formula Uno hanno vissuto con trasporto, neppure fossimo lì in quella curva maledetta del Bergwerk.

L’incidente

Giro due. La Ferrari di Niki Lauda è velocissima, ma in entrata di curva tocca troppo il cordolo: la monoposto sbanda e impatta violentemente il muretto, rimbalzando su di esso fino a trottolare al centro della carreggiata. Per qualche fortuito motivo Guy Edwards riesce ad evitare la vettura disintegrata di qualche millimetro: stesso prodigio non riesce ad Harald Ertl e Brett Lunger, che centrano in pieno il veicolo dell’austriaco. Lauda viene sbalzato ancora più in là, il suo casco vola via e perde conoscenza abbracciato dalle fiamme generate dalla vettura. Ertl e Lunger scendono dalle loro auto e provano ad estrarlo ma non ci riescono. A salvare Lauda ci penserà Arturo Merzario, che aveva parcheggiato la sua monoposto sulla ghiaia e si era avventato sulla Ferrari infuocata.

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L’aneddoto

Pesantemente ustionato, Lauda lotterà tra la vita e la morte per giorni, non tanto per le bruciature in sé – le cui pesanti tracce porterà per sempre in volto – ma quanto per i fumi della benzina inalati, velenosi e potenzialmente letali. C’è un modo molto semplice tuttavia per comprendere la natura, il paradosso e il genio di Lauda evidenziando un semplice aneddoto della sua vita: 42 giorni dopo esser stato vicino alla morte, con il volto e il fisico intimamente provati da quell’esperienza, il pilota austriaco si rimise al volante della sua Ferrari e prese parte al Gran Premio del Giappone, ultimo appuntamento stagionale. Non andò bene per varie ragioni ma la vita di Lauda da lì in poi rimase sempre sul pezzo della Formula Uno, vincendo il secondo mondiale nel 77, ritirandosi, tornando e vincendo ancora. Smise di correre nel 1985, dedicandosi alla sua compagnia aerea e facendo da consulente a vari costruttori, tra cui Ferrari, Jaguar e, al momento, Mercedes.

Il cappellino

La cosa più importante per capire come va una macchina è il culo” disse in seguito il lapidario Niki, “e sinceramente preferisco avere il mio piede destro che un bel viso“. Da 40 anni Niki Lauda è morto e rinato: quaranta anni di quel cappellino rosso in giro per i paddock di tutto il mondo, prima abbinato ad un tutone da corsa, poi alla camicia. Che lo si ami o lo si odi, Lauda è un personaggio unico e singolare che ha contribuito a diffondere la passione dell’automobilismo. E quaranta anni fa, forse, avvenne il preciso momento in cui terminò il pilota ed iniziò il fenomeno.