Quando ci troviamo di fronte un semaforo rosso è certamente obbligatorio fermarsi. Chi non dovesse rispettare questa regola va inevitabilmente incontro a una sanzione, spesso tutt’altro che lieve. Esistono però dei casi particolari in cui è possibile richiedere l’annullamento della multa ed evitare di pagare l’importo richiesto. Vediamo quindi quando questo è effettivamente possibile.
Semaforo rosso: quali sono le conseguenze
I semafori sono tuttora presenti in diverse zone del nostro Paese con l’obiettivo di regolamentare la circolazione in incroci ritenuti più pericolosi. Quando si presenta il rosso è obbligatorio fermarsi e attendere il verde. Chi non dovesse farlo va incontro a conseguenze tutt’altro che da sottovalutare, oltre a mettere a rischio la propria incolumità e quella degli altri.
A regolamentare la situazione è l’articolo 146 del Codice della Strada. Secondo questa norma il guidatore va incontro a una multa che può andare da 163 a 646 euro, oltre a una decurtazione di 6 punti dalla patente.
Per i recidivi gli effetti possono essere ancora più gravi. In caso di irregolarità compiuta per due volte nell’arco di 24 mesi è prevista una sanzione accessoria: la sospensione dalla licenza di guida da uno a tre mesi.
Quando la sanzione è annullabile
Pur essendo proibito passare con il rosso, ci sono alcune situazioni in cui è possibile richiedere l’annullamento della multa. Un esempio lampante può verificarsi quando ci si sta recando in ospedale per accompagnare la moglie a partorire o per un grave malessere di un parente. In questi casi, non appena la multa arriverà nella cassetta della posta è possibile invocare lo “stato di necessità“.
Questo concetto è spiegato chiaramente nell’articolo 54 del Codice Penale: “Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo”.
Nessuna possibilità che il ricorso venga accettato se ci si sta recando dal veterinario per un problema grave ai danni di un proprio animale. A indicarlo è l’art.4, primo comma, della legge 689 del 1981: “Non risponde delle violazioni amministrative chi ha commesso il fatto nell’adempimento di un dovere o nell’esercizio di una facoltà legittima ovvero in stato di necessità o di legittima difesa”. Un concetto espresso anche recentemente da una sentenza della Cassazione: “Il “dovere deontologico-professionale di prestare le cure richieste non autorizza il veterinario a violare le norme sulla circolazione stradale”, riporta la sentenza n. 4834/2018.
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