Impugnare il cellulare per parlare o inviare sms era già fonte di pericolo e di incidenti al volante. Con l’arrivo degli smartphone, la situazione è decisamente peggiorata e difficile da arginare e controllare. Agli utilizzi classici si aggiungono ora la distrazione data dalle continue notifiche, dalla consultazione dei canali social e dall’ultima folle tendenza: scattare selfie alla guida.
La preoccupazione destata da questi comportamenti insensati ha già dimostrato la sua valenza di allarme sociale diventando narrazione cinematografica con il film Sette anime di Gabriele Muccino, dove il protagonista Will Smith tenta una disperata redenzione per aver causato la morte di sette persone in un incidente.
Sensibilizzare serve, ma non basta
Nel tempo si sono moltiplicate iniziative di sensibilizzazione, ricerche e analisi, finora con scarso esito. Ultima la campagna #GUIDAeBASTA promossa congiuntamente da Anas e Polizia di Stato che tenta, con lo slogan “se non rispondi non muore nessuno”, di diffondere la consapevolezza del rischio che la distrazione da smartphone provoca.
Infine, anche le case automobilistiche han cominciato ad attivarsi per invitare gli automobilisti a comportamenti più responsabili. Come Toyota, che ha lanciato la campagna adv “Don’t Shoot and Drive”, e Ford, che si è spinta oltre, commissionando una ricerca a livello europeo – pubblicata sul sito di guida responsabile Driving Skills for Life – dalle cui infografiche (sui rischi dei selfie alla guida e sulle conseguenze delle diverse distrazioni da smartphone) si ricavano dati interessanti quanto preoccupanti.
Un’abitudine diffusa tra i giovani
Su un campione di 7000 intervistati nella fascia di età 18-24, risulta che in media due giovani europei su quattro siano soliti scattare selfie durante la guida. I più indisciplinati sono i ragazzi inglesi (33%) seguiti dai francesi (28%) mentre la media italiana si attesta al 26%. I più virtuosi risultano essere i belgi (17%). Preoccupante la tendenza a esaltarsi di questo comportamento: non solo i rischi vengono sopravvalutati, ma si sviluppa autocompiacimento come risulta dalla diffusione di hashtag su Instagram come #drivingselfie o #drivingtowork, fino all’agghiacciante #Ihopeidontcrash. Eppure, distrarsi per scattare un selfie mentre si guida impegna circa 14 secondi, un tempo sufficiente, viaggiando a 100 km/h, per coprire una distanza equivalente a cinque campi di calcio: il rischio è evidente, ma non viene percepito.
In Italia, un’interessante indagine web è stata condotta dal sito Skuola.net in collaborazione con l’Università Niccolò Cusano: su 1600 studenti tra i 14 e i 21 anni, patentati A, AM o B, il 20% non usa il vivavoce per telefonare, uno su tre controlla gli sms, uno su quattro le notifiche, mentre solo uno su dieci confessa di scattare selfie alla guida, ma si può presumere che la tendenza sia in aumento.
Mancano gli strumenti di controllo
Complesso arginare il fenomeno. Se da un lato le forze dell’ordine non possono fare altro che registrare un costante aumento degli incidenti da distrazione, spesso mortali, dall’altro hanno difficoltà oggettive tanto a sanzionare efficacemente questi comportamenti (comunque emblematico il +22% di contestazioni tra l’anno 2015 e il 2014) che a verificare che siano la reale causa degli incidenti. Poco possono le multe (161 euro) e la decurtazione di 5 punti sulla patente (con sospensione in caso di reiterazione in un biennio), quando controlli e verifiche sono di difficile attuazione e la probabilità di farla franca è alta.
Attualmente, le forze dell’ordine italiane non possono verificare le modalità d’uso degli smartphone, come stanno iniziando a fare negli USA con strumenti come il textalyzer. Non resta che sperare che vengano applicate idee innovative come quella proposta dalla Polizia Municipale torinese in associazione con Siti, Istituto Superiore sui Sistemi Territoriali per l’Innovazione: una sorta di smartphone “poliziotto” in grado di registrare, nel rispetto della privacy relativa ai contenuti, l’attività dei telefonini potenzialmente incriminabili.