Lo si era capito sin dalle prime battute del sabato, che questo Gran Premio d’Argentina sarebbe stato poco convenzionale. Ma nessuno si sarebbe mai azzardato a pensare che questa gara sarebbe in qualche modo passata alla storia, perlomeno in negativo. Il GP del caos, la domenica dell’incertezza: un titolo degno, che un po’ oscura la piccola grande impresa compiuta da uno stoico Cal Crutchlow (Team Honda LCR). Uno dei piloti più regolaristi del lotto che si è messo silenziosamente all’opera dal primo all’ultimo giro per ritagliarsi il terzo successo in carriera, che mancava da Philip Island 2016 quando i valori in campo erano ben diversi. Vince d’esperienza Crutchlow, rimasto nascosto del gruppo per poi esibirsi in un guizzo decisivo ai-2 come farebbe il suo amico Mark Cavendish, stella delle due ruote sì, ma a pedali. Regola un pimpante Johann Zarco ed un ottimo Alex Rins, su Suzuki.
Polemica e polemiche
Confusione già allo start. I box si affollano di meccanici una volta che, a pochi minuti dal semaforo verde, tutti scelgono di sostituire le gomme da pioggia con le slick da asciutto: una scelta che inizialmente aveva fatto il solo Jack Miller. La direzione di corsa per garantire una pista ancora meno umida ritarda di 15′ il via, con un premio di consolazione per Miller, il quale avrebbe potuto facilmente dominare la corsa in caso di partenza normale: i piloti, ad eccezione dell’australiano in pole, vengono indietreggiati di tre file. In attesa dello scatto iniziale, poi, Marquez fa spegnere la sua RC213V e per riavviarla la lancia dapprima avanti, poi ritorna alla sua casella percorrendo il rettilineo contromano. Una manovra che verrà sanzionato con un Drive Through che lo spagnolo ha scontato mentre era in prima posizione.
L’epilogo
A quel punto si è profilata la seguente situazione: il quartetto al comando formato da Miller, Zarco, Rins e Crutchlow; un nugolo di diretti inseguitori composto da Vinales, Rossi e Dovizioso; e Marquez, dal fondo del plotone, più scatenato che mai. Lo spagnolo si è tempestivamente lanciato in una rimonta aggressiva quanto efficace, girando su tempi di un secondo inferiori a quelli dei migliori. Il Cabronçito pedala a testa bassa, inghiottendo uno ad uno i piloti che lo precedono. Nel sorpasso ai danni di Espargaro però esagera: i due iberici si sfiorano e per poco non ruzzolano giù nella ghiaia. La direzione corsa interviene impartendo a Marquez l’ordine di indietreggiare di una posizione, ma il suo passo estremo gli consente con facilità di continuare imperterrito a risalire la china, fino ai -3.
Non c’è due senza tre
Ad averci i nervi saldi, Marc avrebbe stracciato la concorrenza di Rìo Hondo. Troppo superiore il suo passo, troppo efficace la sua guida. Lo ha dimostrato tanto nel weekend quanto in corsa. Eppure, anche non volendo considerare il “contromano” di partenza – un gesto istintivo che forse chiunque avrebbe fatto – sono due le grandi cadute di stile di giornata: il sorpasso ad Espargaro e la manovra per infilare Valentino Rossi. A 3 giri dal termine, infatti, mentre il Dottore si trovava in sesta piazza, Marquez è penetrato all’interno della sua traiettoria con un’entrata a dir poco piratesca. Fanno a sportellate, per usare un felice gergo telecronistico, con Rossi che deve allargarsi sull’erba fino a scivolare.
Ripercussioni
Una manovra che, a caldo gli è fruttata una squalifica di 30 secondi (finendo fuori dalla classifica che conta) e a freddo ha stuzzicato la maggior parte dei suoi colleghi a condannare un simile condotta: da Crutchlow a Dovizioso, da Rins a Zarco. Al termine del GP Marquez si è recato al box di Valentino per porgergli le scuse ma il suo entourage non gli ha concesso parola. Emblematici i gesti e le parole di Uccio, amico e manager di Valentino, il quale ha causticamente ribadiato di “Non venire qui“. Siamo solo al secondo appuntamento stagionale e già si parla di una guerra. Di sicuro non è una guerra che fa buona pubblicità al movimento. I commissari della Dorna, comunque, sono in riunione per eventuali provvedimenti ai danni di Marquez.