Sembra una bestemmia oggi, proprio oggi. Eppure non erano pochi a descriverlo come “il nuovo Senna“. Perchè quando a 18 anni, 7 mesi e 15 giorni conquisti un Gran Premio di Formula Uno — nessuno mai più giovane di lui sul gradino più alto del podio — obiettivamente qualche numero nel tuo DNA devi comunque avercelo. Ma i campioni, e non parlo soltanto di quelli che fanno breccia nel cuore degli appassionati ma, obiettivamente, di quelli che vincono, non sono mai soltanto talento. È sempre una questione di lavoro e mentalità, di spirito e atteggiamento. Quell’atteggiamento che, al momento, è il grande abisso che separa Max Verstappen dalla fibra genuina del campione. Per chiarezza di argomento occorre specificare che qui non si stia parlando di carattere o personalità, fattori altrettanto discutibili ma non qui, bensì del modo di approcciarsi alla competizione e dei comportamenti che da questo scaturiscono.
Il piccolo imperatore
A volerne ricostruire una genealogia, emerge un dato essenziale: Verstappen è stato un eletto. Un privilegiato di come, forse, nella classe regina non se ne son mai visti: il piccolo imperatore scovato dalla Red Bull, che lo coltiva in tutti gli agi e gli concede un ingresso nel Circus dalla porta principale. Attorno a Max, due costanti: un peso e un contrappeso che miscelandosi hanno finito per gettare ombra sulle sue cristalline qualità. Da un lato una pioggia di responsabilità, gli oneri insomma di chi stringe tra le mani un bolide dal valore milionario; dall’altro un mare d’ovatta pronto ad assorbire l’acqua piovana dei dubbi, dei problemi, delle critiche e dei polveroni. Max è e deve essere impeccabile, protetto ad ogni costo dalla famiglia biologica o da quella motoristica, la Red Bull per l’appunto. È difficile dire dove inizi l’una e finisca l’altra.
Verstappen: i 20 anni di un pilota maturo
Cresciuto in questo ambiente — non è una giustificazione, sottolineo — è difficile auspicarsi un miglioramento o perlomeno un cambiamento della sua condotta in pista, se ad ogni errore, ogni passo falso, c’è qualcuno a prenderne le difese (con una efficacissima macchina mediatica) o a farlo sentire nel giusto. Come ho già ribadito più e più volte, non è un caso che dove c’è incidente ci sia Verstappen. Volendo anche escludere qualsiasi concorso di colpa del belga dall’uno o l’altro episodio, rimane la grande e grottesca continuità con cui si mette nei guai. Talvolta qualche controcanto ha cercato di spezzare una lancia a suo favore invocando una certa “inesperienza” o “immaturità”, incrociando piuttosto pericolosamente il profilo anagrafico con quello sportivo attraverso un’argomento basato su valori umani. Niente di più sbagliato: Max Verstappen ha disputato, al momento, 64 Gran Premi, vincendone 3 e centrando 11 podi. Ci sono piloti, e del passato e del presente, che questo palmares se lo sognano. Per affrontare con oggettività il problema “Versbatten” è doveroso tenere in considerazione che abbiamo a che fare con un pilota maturo, il quale sicuramente potrà evolversi e piegarsi, ma fatto e finito.
Tirando le somme
Per quanto sia brutto ammetterlo: dovremmo farci l’abitudine. Verstappen ha tradito le speranze di assistere ad un fenomeno dalla faccia pulita e il cuore grande, l’idea di un nuovo Senna che potesse animare indistintamente gli animi degli appassionati, l’illusione del “campione di tutti” che facesse applaudire i tifosi di ogni scuderia. E fa male perchè la facilità con cui dribbla le critiche e scarica le sue responsabilità, l’incauta leggerezza con cui trasforma uno stile di guida aggressivo in uno incosciente — e talvolta, apparentemente, stupido — sembrano qualità costruite dalle circostanze piuttosto che dall’individuo. Un po’ come un bambino viziato.