Per chi si fosse avvicinato alla Formula Uno da poco tempo, il personaggio di Fernando Alonso potrebbe auspicabilmente allinearsi al classico stereotipo del campione decaduto. La categoria di chi vince, fa la storia e poi sopravvive di fama accumulata finché la rendita non diventa insufficiente al cospetto dalla propria dignità umana e sportiva. Ecco, quest’articolo cercherà di dimostrare che non c’è definizione più sbagliata di lui.
Fernando è tre anni più giovane di Valentino Rossi. Con lui condivide un destino incontenstabile: ha cristallizzato una disciplina del motorsport nella cultura popolare del paese d’appartenenza. Anzi, Alonso ha fatto di più, considerando come prima del suo exploit la F1 fosse poco e per nulla popolare in Spagna. Ma con Rossi il fenomeno di Oviedo ha da spartire anche la terribile maledizione del cavallo di razza: tutto o niente.
È difficile individuare una gara, una stagione, una conferenza stampa in cui Alonso non abbia dato il massimo. Anima e corpo, l’asturiano è sempre andato oltre: nelle dichiarazioni, nella guida, nelle performance possibili. Se però Valentino accorda a questo spirito assoluto una mentalità metodica, analitica, spasmodicamente chiurgica, Alonso ci mette le viscere e l’istinto. Per dirla in termini omerici, Rossi come Ulisse, Alonso come Achille.
Ripercorriamo nel dettaglio, allora, gli eventi che hanno evidenziato la carriera di Alonso.
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